Pubblichiamo la seconda parte della relazione sulla Normativa sul Made in Italy.
Se non l’hai ancora fatto leggi Il Made In Italy e la Normativa di riferimento (Prima Parte)
Buona lettura a tutti, e non ce ne volete se le leggi sono complicate e a nostro avviso spesso assurde. Nel nostro piccolo ci battiamo perché le cose migliorino.
IL MADE IN ITALY E LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO
- Premessa
- “Made in Italy” Situazione Attuale
- Legge 24 dicembre 2003 n° 350 (Finanziaria 2004)
- Decreto Legge 14 marzo 2005 n° 35 (Decreto Competitività) convertito in Legge 14 maggio 2005 n°80
- Decreto Legge 25 settembre 2009 n° 135 convertito in Legge 20 novembre 2009 n° 166
- Legge 08 aprile 2010 n°55
- Conclusioni
4 – DECRETO LEGGE 14 MARZO 2005 N° 35 (DECRETO COMPETITIVITA’) CONVERTITO IN LEGGE 14 MAGGIO 2005 N° 80
Il presente provvedimento ha introdotto, indubbiamente, un ulteriore strumento di tutela del marchio d’origine Made in Italy.
Ciò, non soltanto, perché ha provveduto ad inasprire (ex art. 1, comma 10) la multa prevista dall’art. 517 c.p., elevandola fino a ventimila euro rispetto ai due milioni di lire precedentemente previsti, ma, soprattutto, perché (ex art. 1, comma 9) ha inserito nell’art. 4, comma 49, della Legge 24 dicembre 2003, n° 350, dopo le parole <<fallaci indicazioni di provenienza>> le seguenti: <<o di origine>>.
Oggi, pertanto, non sembrerebbe possibile commercializzare nell’Unione Europea (e, quindi, anche in Italia) merci prodotte all’estero con la sola dicitura relativa al nominativo e all’indirizzo italiano dell’azienda che ne ha curato la produzione e l’importazione poiché risulterebbe obbligatorio specificare anche il paese d’origine degli stessi.
Sul punto si veda la Sentenza del TAR del Friuli Venezia Giulia, del 08/02/2006, n. 157 (Sentenza Dolce & Gabbana), che ha riconosciuto la legittimità del fermo amministrativo disposto dall’Agenzia delle Dogane (oggi Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) su t-shirt provenienti dalla Turchia sulle quali erano state apposte targhette con la dicitura “Dolce & Gabbana S.p.a. Legnano, Milano – ITALY”.
Il nuovo comma 49 dell’art. 4, infatti, stabilisce come, anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti, costituisca fallace indicazione, perseguibile ai sensi dell’art. 517 c.p., l’uso di segni, figure o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o furviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli.
Anche in questo caso la condotta incriminata:
- risulta commessa sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio;
- può essere sanata mediante l’asportazione, a spese del contravventore, dei segni, delle figure o di quant’altro possa indurre a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana ovviamente sempre che i beni non siano già stati immessi in libera pratica;
- non incide sulla prosecuzione dei procedimenti penali avviati.
Ora, poiché relativamente ai prodotti industriali (non agroalimentari) per “provenienza ed origine” della merce non deve intendersi la provenienza della stessa da un certo luogo di fabbricazione, totale o parziale, bensì la sua provenienza da un determinato imprenditore che si assume la responsabilità giuridica, economica e tecnica della produzione e si rende garante della qualità del prodotto nei confronti degli acquirenti e dato che il D.P.R. 26/02/1968 n° 656 (con cui è stato recepito in Italia l’Accordo di Madrid del 14 aprile 1981 in forza del quale il venditore che apponga il suo marchio su un prodotto importato debba riportare anche <<l’indicazione precisa ed i caratteri evidenti del Paese o del luogo di fabbricazione o di produzione, o un’altra indicazione sufficiente ad evitare ogni errore sull’origine effettiva, sotto pena del sequestro del prodotto>>) limita l’applicazione del fermo amministrativo alle sole merci per le quali vi sia il fondato sospetto che rechino, all’atto della loro introduzione nel territorio della Repubblica, una falsa o fallace indicazione di provenienza, permangono incertezze di fronte alla sussistenza, o meno, dell’obbligo di indicare il paese di origine dei beni.
In merito assume un ruolo fondamentale l’interpretazione giurisprudenziale in attesa di un intervento legislativo che restituisca razionalità alla materia.
La Suprema Corte di Cassazione (Cass. Sez. III°, 24 maggio 2012, n° 19650) ha affermato che attualmente costituiscono infrazioni penalmente irrilevanti (integranti solo un illecito amministrativo) le condotte di “indicazioni fallaci” da cui possono derivare situazioni di incertezza indotte dalla carenza di <<indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto>>.
Costituiscono delitto, invece, le sole ipotesi di uso del marchio e della denominazione di provenienza o di origine con “false indicazioni” idonee da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana.
Ciò perché mentre “fallace” e ciò che può illudere e/o ingannare, “falso” è ciò che risulta contrario al vero per contraffazione o alterazione dolosa.
In sostanza risulta configurabile una fattispecie di reato solo quando oltre al proprio marchio o all’indicazione della località in cui l’azienda ha sede, l’imprenditore apponga anche una dicitura con cui attesti espressamente che il prodotto è stato fabbricato in Italia o comunque in un Paese diverso da quello di effettiva fabbricazione.
5 – DECRETO LEGGE 25 SETTEMBRE 2009 N° 135 CONVERTITO IN LEGGE 20 NOVEMBRE 2009 N° 166
Anche questo provvedimento costituisce un ulteriore passo in avanti verso una più incisiva tutela del Made in Italy.
Per effetto della sua entrata in vigore, infatti, è stata aumentata fino a due anni la pena della reclusione prevista dall’art. 517 c.p. (in luogo del massimo edittale di un anno precedentemente previsto), è stato inserito il comma 49 bis nell’art. 4 della L. 350/2003 ed, infine, è stata introdotta la disciplina del marchio collettivo “100% Made in Italy“.
Il comma 49 bis prevede che costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto.
Per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui e’ avvenuta la trasformazione sostanziale.
Il contravventore e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000.
Si precisa, poi, come sia sempre disposta la confisca amministrativa del prodotto o della merce di cui al comma 49-bis, salvo che le indicazioni ivi previste siano apposte, a cura e spese del titolare o del licenziatario responsabile dell’illecito, sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore.
Per l’interpretazione di questo nuovo comma richiamiamo l’orientamento giurisprudenziale di cui al paragrafo 1.4 (Cass. Sez. III°, 24 maggio 2012, n° 19650).
E’ stato, infine, realizzato un sistema di certificazione in base al quale i produttori che producono interamente in Italia possono garantire il proprio prodotto con il marchio collettivo “100% Made in Italy“.
Ora, ai sensi dell’art. 16 comma I° del D.L. 25/09/2009 n° 135, si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce classificabile come Made in Italy, ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono stati compiuti esclusivamente sul territorio italiano.
Di diritto e di fatto, quindi, oggi vi è quello che possiamo definire Made in Italy doganale (51% e finitura italiana) ed il 100% Made in Italy (prodotto interamente realizzato in Italia).
L’Istituto per la Tutela dei Produttori Italiani (I.T.P.I.), organo certificatore del prodotto interamente realizzato in Italia costituito a Fermo, ha elaborato il Sistema di Certificazione “IT01 – 100% Qualità Originale Italiana”, istituendo il marchio collettivo “100% Made in Italy Certificate“.
Ciò al fine di superare i dubbi a cui la normativa lascia ancora spazio.
L’iter di certificazione si avvia con la sottoscrizione volontaria da parte dell’azienda interessata del Regolamento del Sistema IT01 e della richiesta di Certificazione.
I prodotti che il produttore intende commercializzare usando i marchi ed i segni distintivi “Made in Italy Certificate” devono avere i seguenti requisiti:
- fabbricati interamente in Italia;
- realizzati con semilavorati Italiani;
- costruiti con materiali naturali di qualità e di prima scelta;
- realizzati con disegni e progettazione esclusivi dell’azienda;
- costruiti adottando le lavorazioni artigianali tradizionali tipiche italiane;
Inoltre, devono essere:
- realizzati in osservanza dei criteri di sicurezza;
- realizzati in osservanza delle norme sull’igiene.
- L’Istituto accorda, accertata la loro sussistenza, la certificazione (che ha validità annuale) e decorso un mese dalla sua concessione un funzionario dell’Istituto procederà al completamento dell’istruttoria con l’acquisizione della documentazione necessaria e la compilazione delle schede del Disciplinare.
Entro la fine del mese successivo, poi, il funzionario confermerà all’azienda l’ottenimento della certificazione e l’azienda sarà quindi iscritta nel Registro Nazionale Produttori Italiani.
L’istituto ha provveduto, inoltre, ad istituire un sistema di tracciabilità per i prodotti certificati “100% Made in Italy”.
L’azienda certificata dovrà utilizzare i segni distintivi rilasciati dall’Istituto, dotati di marchio olografico anti-contraffazione e di numerazione progressiva, applicandoli o allegandoli al prodotto.
Il marchio collettivo potrà essere utilizzato sull’imballo, inserito su carta intestata, esposto in fiera e divulgato attraverso i mezzi pubblicitari e i siti internet.
Possiamo affermare che l’Istituto, in netto contrasto con i limiti oggettivamente posti dalla Comunità Europea ed il “suo” made in Italy “doganale”, consente ai singoli consumatori ed ai negozianti di accertare la vera origine del prodotto italiano.
Infine, ai sensi dell’art. 16 comma 4 (D.L. 135/2009) è previsto che chiunque faccia uso di un’indicazione di vendita, che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», in qualunque lingua espressa, o di altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero di segni o di figure che inducano la medesima fallace convinzione, e’ punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene previste dall’art. 517 c.p. aumentate di un terzo.
Buon proseguimento di lettura con Il Made In Italy e la Normativa di riferimento (Terza Parte).