Normativa Made in Italy

Ringraziamo il legale Alessandro Terreni che ci ha fatto pervenire questa relazione sulla normativa del Made In Italy.

La pubblicheremo in più “puntate” per darvi modo di digerirla, il legalese (non ce ne vogliano gli esperti di diritto) è ostico ai più.

Alla fine cercheremo di trarre conclusioni di carattere più divulgativo avvalendoci anche di info-grafiche.

Buona lettura a tutti e grazie per essere dei nostri.

 

IL MADE IN ITALY E LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO

  1. Premessa
  2. “Made in Italy” Situazione Attuale
  3. Legge 24 dicembre 2003 n° 350 (Finanziaria 2004)
  4. Decreto Legge 14 marzo 2005 n° 35 (Decreto Competitività) convertito in Legge 14 maggio 2005 n°80
  5. Decreto Legge 25 settembre 2009 n° 135 convertito in Legge 20 novembre 2009 n° 166
  6. Legge 08 aprile 2010 n°55
  7. Conclusioni

 

1 – PREMESSA

Prima di procedere all’esame della normativa sulla legittima applicazione del marchio d’origine “Made in Italy” è utile procedere ad una preliminare ricognizione del corretto significato di espressioni quali origine, provenienza, origine doganale preferenziale, e origine doganale non preferenziale.

  • L’origine di un prodotto è l’indicazione del luogo in cui la materia prima è nata o è stata allevata/coltivata/pescata.
  • La provenienza indica, invece, l’ultimo stabilimento nel quale il prodotto è stato manipolato e/o stoccato.Esempio: la carne bovina con origine irlandese ha provenienza olandese se il bovino è nato in Irlanda mentre la macellazione è avvenuta in Olanda.

Ora, le merci importate da paesi esteri si suddividono in merci di origine doganale preferenziale e merci di origine doganale non preferenziale.

  • L’origine doganale preferenziale riguarda i prodotti, che soddisfano precisi requisiti, importati da alcuni Paesi e consiste nella concessione di benefici daziari all’importazione (riduzione di dazi o loro esenzione, abolizione di divieti quantitativi o di contingentamenti).Alla base vi è generalmente un accordo siglato dall’Unione Europea con i vari Paesi esteri (c.d. “Paesi Associati”) attraverso il quale, per lo scambio di determinati prodotti riconosciuti come “originari” di uno dei Paesi contraenti, viene riservato, appunto, un “trattamento preferenziale”.
  • Per origine doganale non preferenziale si intende, invece, il luogo di produzione del bene o il luogo dove lo stesso ha subito l’ultima sostanziale trasformazione.Al fine di acquisire l’origine non preferenziale italiana un prodotto deve, quindi, subire una trasformazione sostanziale sul territorio italiano indipendentemente dalle eventuali percentuali di merce nazionale o estera impiegata nella produzione.

 

2 – “MADE IN ITALY”: SITUAZIONE ATTUALE

Quale frutto di una lunga e fertile cooperazione tra cultura, arte, artigianato, abilità manifatturiera, territorio e memorie storiche, il “Made in Italy” è un marchio d’origine ovverosia un’indicazione, apposta sul prodotto e/o sulla confezione, che attribuisce l’origine del bene al nostro Paese, al fine di consentire al consumatore di effettuare una distinzione tra merci nazionali e merci importate.

Può essere applicato quando il prodotto risulta realizzato:

  1. Interamente nel nostro Paese;
  2. In Parte nel nostro Paese ed in Parte in Paesi diversi.

Mentre nel primo caso non sussistano dubbi sull’applicabilità del marchio de quo, nel secondo caso si deve ricorrere al criterio dell’origine doganale non preferenziale.

Questo principio, già contenuto nell’intervento del Ministero delle Finanze del 1995 e conforme agli impegni assunti dall’Italia in sede di O.M.C. (Organizzazione Mondiale Del Commercio), è stato riaffermato dall’art. 4 comma 49 della L. 24/12/2003 n° 350 (Finanziaria 2004).

In sostanza, applicando le regole previste dal Codice Doganale Comunitario Aggiornato (Regolamento CE 23/04/2008 n° 450 – art. 36 – sull’origine doganale non preferenziale delle merci) un prodotto può essere considerato di origine italiana (in senso doganale) e contenere, quindi, l’indicazione “Made in Italyquando nel nostro Paese è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale.

Assume, pertanto, rilevanza la figura del fabbricante del prodotto finito.

Alla luce delle norme sopra richiamate, se anche tutte le parti del prodotto, dopo essere state materialmente fabbricate all’estero, vengono successivamente assemblate in Italia è, comunque, consentito l’uso del “Made in Italy” così come risulta legittima la sua apposizione sui prodotti assemblati all’estero con parti provenienti dall’Italia a condizione, tuttavia, che i semilavorati spediti all’estero non subiscano trasformazioni tali da fargli acquisire l‘origine non preferenziale di quel Paese.

La norma non offre, però, né esempi né indicazioni di quelle che possono essere considerate “lavorazioni sufficienti” ai fini dell’indicazione del “Made in Italy“.

Sul punto si devono seguire le indicazioni di cui agli Allegati 10, 11 e 15 (prodotti in appendice alla presente relazione) del Regolamento di Attuazione del Codice Doganale Comunitario (Regolamento CEE 02/07/1993 n° 2454).

Va sottolineato, tuttavia, che la determinazione delle regole d’origine è soggetta non soltanto all’applicazione delle norme contenute nel Codice Doganale Comunitario Aggiornato e negli Allegati al suo Regolamento di Attuazione, ma anche al rispetto dei c.d. “Accordi in Materia di Origine” (che costituendo diritto speciale, ove difformi, prevarranno sui primi) in forza dei quali l’individuazione delle regole per determinare, di volta in volta, la possibilità di apporre l’indicazione in esame è soggetta alla preventiva verifica di eventuali Accordi Bilaterali o Multilaterali in materia di origine conclusi dall’Unione Europea con Paesi Terzi o blocchi di Paesi Terzi.

Qualora, infine, residuassero dei dubbi sull’origine da attribuire al proprio prodotto alla singola azienda non resta che ricorrere allo strumento denominato I.V.O. (Informazione Vincolante in Materia di Origine).

In sostanza l’azienda deve presentare all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli un’istanza che descriva, con precisione, il tipo di merce o prodotto su cui intende apporre il “Made in Italy“, l’origine delle materie che lo costituiscono, il luogo dove è avvenuta la lavorazione e, più in generale, tutte le indicazioni necessarie per determinare l’origine del prodotto stesso.

Dovrà quindi attendere il responso dell’Agenzia suindicata.

Ottenere un I.V.O. è importante per tutte quelle aziende di trasformazione che utilizzano come materia prima prodotti provenienti da diverse parti del mondo e che poi esportano i loro prodotti finiti.

 

3 – LEGGE 24 DICEMRE 2003 N° 350 (FINANZIARIA 2004)

Contiene norme finalizzate a:

  • A – Identificare il Paese di Origine di un Prodotto;
  • B – Potenziare la lotta alla Contraffazione.

In merito al punto A si rimanda a quanto riportato nel paragrafo 2. poiché la Legge ha recepito la normativa in esso illustrata.

Il secondo periodo dell’art. 4, comma 49, infatti, espressamente afferma che <<…costituisce falsa indicazione la stampigliatura “made in Italy” su prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine>> ribadendo, pertanto, come l’indicazione del marchio d’origine non sia possibile ove l’attività di trasformazione non si sia svolta in Italia o, se ivi svolta, sia stata del tutto marginale o irrilevante.

E’ interessante notare come, stando al dato letterale della norma, sembrerebbe che il Legislatore si sia disinteressato, riferendosi esclusivamente al “Made in Italy“, dei casi in cui un prodotto rechi illegittimamente il marchio “Made in Japan“, “Made in France” ecc…, pertanto tali etichettature poste su prodotti e/o merci realizzati in Paesi diversi dall’Italia ed ivi importati sembrerebbero sfuggire al divieto.

In merito al punto B l’art. 4, comma 49, afferma che

<<L’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell’articolo 517 del codice penale…>>

a norma del quale

<<chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri [2563-2574 c.c.], atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro>>.

La fattispecie risulta commessa sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio.

E’ importante sottolineare come la falsa indicazione sull’origine o sulla provenienza di prodotti o merci possa essere sanata sul piano amministrativo attraverso l’esatta indicazione dell’origine o l’asportazione della stampigliatura “Made in Italy” a condizione che i beni non siano già stati immessi in libera pratica.

Precisiamo, tuttavia, che nonostante il possibile dissequestro dei prodotti, a seguito della rimozione delle false o fallaci indicazioni d’origine o di provenienza, resta ferma la prosecuzione dei procedimenti penali avviati.

 

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Sei riuscito a seguire le norme fin qui?  Le cose stanno per complicarsi ….

Buon proseguimento di lettura con Il Made In Italy e la Normativa di riferimento (Seconda Parte).